mercoledì 6 marzo 2013

Salvatore di Giacomo:Marzo....torta salata ai friarielli e salsiccia...

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.

N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.

Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.


Puntuale e capriccioso,pure quest'anno il nostro amato marzo e' tornato,oggi a Napoli c'e' una bufera di vento pazzesco,la natura sembra ballare ,si muove,si allunga,ricade....e'marzo!!!!!In questi giorni Lulu' a scuola ha imparato questa poesia e la trovo molto bella,la dedico a tutti voi.
Parecchie cose in questi giorni d'assenza sono accadute...sono diventata zia di un bellissimo bambino,Giuseppe,e sono stata piacevolmente impegnata con lui...
Oggi voglio esagerare voglio raccontarvi la storia di una verdura che a Napoli ha fatto storia...Prendendo un po' di informazioni in giro mi sono ulteriormente informata e sono rimasta veramente colpita per la sua storia....  


Quando i ricchi del momento erano i Francesi, i cuochi (i “Monsù”) d’Oltralpe solevano gettare alla plebe gli avanzi (o peggio: i rifiuti) della cucina. “Les entrailles”, le interiora del pollame e di altri animali divennero  così il nome con cui venivano chiamate le popolane che se le contendevano tra urla e spintoni: “zandraglie”, per l’appunto.

Forse è per questo che Napoli è considerata un luogo dell’anima: un luogo interiore. Purtroppo, però, non sempre il cibo pioveva dal cielo. Per mangiare, i napoletani cominciarono a guardare in basso: alle cime di rape. Dove per “cime” s’intendono gli ammassi fiorali, le infiorescenze non ancora aperte, delle rape. In una parola, i  broccoletti.

In Italia, a questo alimento s’interessavano in tanti. .  

 A Napoli, le cime di rapa prima si lavano, e poi, tutte bagnate, si gettano nell’olio. Con il loro sacrificio danno vita ad uno dei piatti più creativi della cucina partenopea: i friarielli. Le cime di rapa cotte nell’olio. 

Ma dove sta tutta questa creatività? In fondo si tratta di un piatto povero, e pure semplice da preparare. Per capirlo bisogna fare un passo indietro. Quando qualcosa (o qualcuno) non gli piace, o non lo convince, il napoletano dice: “Nun me dà calore.” Calore va inteso come caloria. Il metro è infatti questo: il Bello (e il Buono) sono le cose che nutrono. Contro le calorie a Napoli si è sempre combattuto: non per diminuirle (come si fa oggi nel mondo occidentale), ma per aumentarle. In quest’ottica, le cime di rapa (a buon mercato in qualunque buon mercatino) di calorie ne fornivano davvero poche. In assenza di dietologi e nutrizionisti, quest’informazione proveniva dalla pancia. Per gustarsele, occorreva perciò metterle insieme a qualcosa di fortemente calorico.

E’ qui che saltò fuori l’idea geniale, che fece crescere enormemente il prodotto interno lardo dei napoletani: le cime di rapa venivano cotte dentro abbondanti razioni di strutto.  Che a Napoli, come tutte le grandi madri, è femminile: ‘a nzogna. Cioè la sugna.   

La cerimonia nuziale tra il lardo e la cima di rapa si chiama frittura. Un metodo di cottura che consiste nel mettere un alimento in un grasso portato a temperatura elevata. Un ottimo sistema per fare un pieno di energia.

Oggi qualcosa è cambiato: il grasso. Lo strutto ha ceduto il posto all’olio di oliva: quello  extravergine, il più stabile alle alte temperature necessarie per friggere.

L’olio e la frittura però vengono dopo. Prima bisogna dedicare la propria attenzione alle cime di rape. Che vanno raccolte al momento giusto: i fiori devono esserci già, ma non devono essersi ancora aperti. Ma non preoccupatevi troppo: a scegliere le cime di rapa più adatte a diventare friarielli ci pensa il vostro “verdummaro”; a meno che non vogliate mettervi dalla parte dell’orto.

A voi potrebbe toccare il compito di “ammonnarli”: cioè di mondarli delle parti non utilizzabili per la frittura. E’ un altro momento importante, perché vanno lasciate solo le foglie più tenere, insieme a un po’ di gambo: non troppo, ma nemmeno troppo poco. 

Raccolte, “ammonnate”, e lavate, le cime di rapa vengono invitate ad immergersi nell’olio ben caldo, dove avranno l’onore di  diventare friarielli. Mai bollirle prima! Gran parte del sapore volerebbe via.

Nella padella, insieme all’olio, c’è già in attesa l’aglio. A cottura quasi ultimata,  si può (si deve!) scoprire, si aggiunge il sale e il peperoncino.

Eccoli qua, i friarielli. Finalmente sono nati. Ma da come si muovono nella padella, si comprende che si sentono orfani. Si voltano e si girano, fino a che non vengono portati dalla loro mamma: la salsiccia. Di maiale, ovviamente.

I friarielli senza salsicce  sono come Stanlio senza Ollio; come don Chisciotte senza Sancho Panza, come Gargantua senza Pantagruel. Tanto per restare nel culinario.

 I friarielli sono una specialità tipicamente napoletana. Attenti a non ordinarli nelle altre zone della Campania: già in Penisola Sorrentina, a meno di 50 Km. dal capoluogo, se chiedete una porzione di friarielli vi porteranno dei (magnifici, per carità) peperoncini verdi fritti. Perché “frjere” in napoletano vuol dire semplicemente friggere.

Il friariello è di umili origini. Proprio come il piatto più famoso della cucina partenopea: la pizza. Non a caso, “’a  pizza ch’e friarielle” è stata la prima variante (dopo la Margherita) della pizza.(informazioni prese da google)

Dopo tutto questo parlare voglio umilmente presentarvi la mia pizza di "friarielli",in una versione diversa,tipo pizza di scarole....
Per prima cosa ho preparato la pasta di pane,diversa dall'impasto della pizza con :
500g di farina
2 uova intere
200g di acqua circa
un cucchiaio di sugna
un cubetto di lievito
un pizzico di sale
un cucchiaino di zucchero
Sciogliete il lievito in acqua e zucchero,e poi man mano aggiungete tutti gli ingredienti su citati,facendo attenzione di aggiungere la sugna a fine impasto.Per la lievitazione:coprite l'impasto con un canovaccio umido e lasciate riposare finche' non raddoppi di volume.
L'impasto a lievitazione terminata si presentera' come una spugna.

Ecco i protagonisti,belli lucidi e verdi,con parecchio olio d'oliva e peperoncino....

Ho iniziato a stendere l'impasto,aiutandomi con un po' di farina,per non farlo attaccare al mattarello.

La "sfoglia"risultera' morbida e compatta,la sugna da' un profumo ed una elasticita' che non otterete usando il burro...

Inizia il momento piu' bello per me:Farcire!!!!ma quanto amo rendere "pieno"!!!!!Ai friarielli ho aggiunto la salsiccia fresca,presa dal mio macellaio di fiducia fatta con carne di maile,finocchietto,pepe e vino.Uso mettere sempre la salsiccia cruda,perche' in cottura lascia tutto il suo profumo e i suoi "Grassi"che rendono il tutto ancora piu' gustoso.Ovviamente chi non vuole delizirsi e provare questA PIACEVOLE sensazione puo' anche mettere la salsiccia riscaldata precedentemente...ma il risultato non sara' lo stesso!!!!!

A differnza delle altre volte ho voluto fare la pizza di friarilli chiusa,giusto per cambiare....

Una foto dall'alto....
Mi soffermo su questa foto,perche' racchiude tutto cio' che ho cercato nel  mio piccolo di spiegarvi...Che peccato che io non possa farvi sentire il profumo che emana,la morbidezza del "Pane",farvi assaporare quell'olio che fuoriesce dai buchini,che cadendo nel piatto alla fine ci si puccia dentro il cordone...e' un piatto Povero,forse pure poco raffinato,e' Napoletano,ma e' veramente,veramente buono!!!!!

E...ehhh!!non aggiungo altro!!!!!

Semplicemente Buon appetito!!!!!!!
         

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